Approfondimento

8/2/21

Responsabilità ex d.lgs. 231/2001 e messa alla prova

Messa alla prova applicabile all’ente a giudizio ex D. Lgs 231/2001: giurisprudenza di merito a confronto.

In relazione alla possibilità di ammettere alla prova l’ente a giudizio ex D.lgs 231/2001, si registrano due recenti (e contrapposte) decisioni di merito.

Il GUP presso il Tribunale di Modena, con sentenza in data 19 ottobre 2020, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di una società a giudizio ai sensi del D. Lgs 231/2001 per estinzione del reato a seguito di esito positivo della messa alla prova.

Il Giudice, infatti, con ordinanza ex artt. 464 bis e s.s. c.p.p., aveva ammesso l’ente al procedimento in parola, sulla base del programma di trattamento predisposto dal competente UEPE, che prevedeva la eliminazione degli effetti negativi del reato, il risarcimento del danno, il potenziamento del modello organizzativo e, a titolo di lavoro di pubblica utilità, la fornitura di generi alimentari ad una associazione religiosa che opera nel campo del volontariato nei confronti di persone disagiate.

Verificato attraverso la relazione finale dell’UEPE che la persona giuridica aveva svolto il programma di trattamento e che la messa alla prova aveva dato esito positivo, il Giudice ha emesso sentenza di non doversi procedere per intervenuta estinzione del reato.

Secondo il giudice modenese, anche se il D. Lgs 231/2001 non prevede la possibilità di definire il giudizio con la messa alla prova, il richiamo esplicito negli art. 34 e 35 del D. Lgs 231/2001 al rinvio, per quanto non contenuto nel provvedimento, al codice di procedura penale e alle disposizioni processuali relative all’imputato, consente di applicare all’ente l’istituto in parola.

Di avviso diametralmente opposto è la decisione del GUP presso il Tribunale di Bologna in data 10 dicembre 2020.

Con tale ordinanza, infatti, il Giudice, nonostante il parere favorevole espresso dal P.M., ha dichiarato l’inammissibilità dell’istanza di messa alla prova avanzata dall’ente per il quale era stato chiesto il rinvio a giudizio per la responsabilità ex D. Lgs 231/2001.

Secondo il Giudice Bolognese, infatti, “il mancato coordinamento della legge 67 del 2014 con il testo della 231del 2001 non è frutto di dimenticanza del legislatore ma è da considerare voluto, in ossequio al principio del ubi lex dixit voluit, noluit tacuit. La disciplina della sospensione del processo con messa alla prova, non è applicabile alle persone giuridiche chiamate a rispondere ai sensi del D.lgs 231/2001 in quanto non compatibile nei suoi aspetti sostanziali (oltre che in misura minore, processuali), posto che non condividono la eaden ratio”.

Per completezza, va aggiunto che la decisione del GUP di Bologna si allinea all’orientamento espresso dal Tribunale di Milano che, con ordinanza in data 27 marzo 2017, aveva rigettato la richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova chiesta dalla società statuendo che “in assenza, de iure condito, di una normativa di raccordo che renda applicabile la disciplina di cui agli artt. 168 bis c.p.p. alla categoria degli enti, ne deriva che l’istituto in esame, in ossequio al principio di riserva di legge, non risulta applicabile ai casi non espressamente previsti, e quindi alle società imputate ai sensi del D. Lgs 231/2001.”

Da ultimo si segnala un altro (e successivo) provvedimento del GUP presso il Tribunale di Modena, in diversa composizione rispetto al precedente.

Con l’ordinanza in data 15 dicembre 2020, previa considerazione sulla sussistenza di due orientamenti in ordine all’ammissibilità della messa alla prova per gli enti, il Giudice, pur sembrando propendere per quello espresso dal Tribunale in cui opera, ha respinto l’istanza in quanto l’ente, prima del fatto commesso, non era dotato del modello organizzativo.

Ritiene, infatti, il GUP, che “….anche volendo aderire a quest’ultimo orientamento, per vero minoritario (n.d.r., quello che ritiene ammissibile la messa alla prova), l’ammissibilità dell’ente alla sospensione del procedimento con messa alla prova sarebbe, comunque, subordinata al possesso di un imprescindibile pre-requisito da parte della società, ovvero l’esserci dotata, prima del fatto, di un modello organizzativo valutato inidoneo dal giudice. Solo in tal caso sarebbe possibile formulare un giudizio positivo in ordine alla futura “rieducazione” dell’ente, che, dimostrerebbe, così, di essere stato diligente e di aver adottato un modello ritagliato sulle proprie specifiche esigenze, per quanto valutato non idoneo dal giudice” .

Conclude l’ordinanza nel senso che “in difetto del requisito preliminare sopra illustrato non è possibile compiere una prognosi negativa sulla “pericolosità organizzativa” dell’ente, come richiesto dall’art. 464 quater, comma 3, C.p.p”.

Il Giudice, quindi, pur dando apertura all’ammissione dell’ente al probation, ha ritenuto che, in assenza di un modello organizzativo preesistente al fatto, non possa essere soddisfatto il requisito di cui all’art. 464, comma 3. C.p.p., ragion per cui l’istanza è stata respinta.

In conclusione si evidenza, comunque, l’apertura della (per ora isolata) decisione del GUP presso il Tribunale di Modena (non contraddetta, nel merito, dalla successiva) alla possibilità, anche per l’ente, di accedere alla messa alla prova.

Si vedrà, nel proseguo, se ci saranno altri arresti in tal senso, in attesa di una pronuncia della Suprema Corte che possa dare (o meno) adesione a tale decisione sicuramente innovativa.

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